Nanda Vigo: a Milano la prima retrospettiva antologica

Michela Pesenti / 2 Agosto 2019 / Stili e Novità

Per chi ad agosto rimane a Milano e ha voglia di immergersi nelle atmosfere di luce dell’artista Nanda Vigo fino al 29 settembre a Palazzo Reale va in scena la mostra Nanda Vigo. Light Project, la prima retrospettiva antologica che un museo pubblico ha dedicato all’architetto, designer e artista tra i protagonisti delle avanguardie degli anni Sessanta e Settanta. La mostra, curata da Marco Meneguzzo, attraversa le diverse tappe che hanno caratterizzato l’attività di Nanda Vigo facendo scoprire al grande pubblico la sua originale visione della realtà.

Attraverso l’esposizione di un’ottantina di opere, tra progetti, sculture e installazioni, si ripercorre la carriera dell’architetto designer, dagli inizi degli anni Cinquanta alle esperienze più attuali al cui centro vi sono la luce, le superfici riflettenti, la trasparenza e l’immaterialità. Un percorso fatto di sperimentazioni di luce e spazio, tra neon colorati, specchi e vetri, in cui immergersi nelle sale espositive per addentrarsi nell’«ambiente cronotopico che esprime la quintessenza del modo di intendere l’arte di Nanda Vigo, una situazione esistenziale che consente di vivere esperienze trascendenti, andando oltre la materialità del quotidiano, per riuscire a percepire fisicamente, per quanto possibile, una realtà più alta, una sintonia universale attraverso la contemplazione, la smaterializzazione, la comunione con il “tutto” », come spiegano gli organizzatori della mostra.

 

Il termine “ambiente cronotopico”, come ha sottolineato in una recente intervista la stessa Nanda Vigo, che ha collaborato tra gli altri con Giò Ponti e Frank Llyod Wright, appartiene al linguaggio della scienza: «sono stata la prima ad usarlo in un altro senso apparentemente estraneo. La parola stessa formata da chronos e topos, spazio e tempo, indica i discorsi sullo spazio e sul tempo che ho voluto portare avanti. Con l’aggiunta delle luci, naturali o artificiali, ho sempre cercato la riflessione dando l’idea di uno spazio che non finisce nella cornice di un quadro ma continua all’infinito, anche dentro noi stessi. Un portale o, come preferisco definirlo, un gate. Fin dal primo Manifesto Cronotopico del ’64 ho subito dichiarato che desideravo esprimere l’apertura di questi gate. Sono nati come quadrati 60 x 60 cm per poi, nel corso del tempo, evolversi fino ad arrivare a diventare dei veri e propri ambienti».

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